L’evocazione dei defunti per ottenere pronostici sul futuro è una pratica nota come negromanzia e affonda le sue radici nella notte dei tempi trovando ampia attestazione in diverse culture ed epoche storiche. Tra le sue rappresentazioni più celebri, spicca un episodio narrato nel Primo Libro di Samuele, dove la figura della “strega di Endor” assume un ruolo chiave.
Saul e la strega: un incontro intriso di mistero
Il re Saul, in preda alla disperazione per l’imminente battaglia contro i Filistei e privo del sostegno divino, decide di ricorrere a una negromante di Endor per evocare lo spirito del defunto profeta Samuele. La donna, inizialmente restia per via della precedente persecuzione di streghe ordinata da Saul stesso, cede alle sue insistenze e inizia il rituale.
Dalla descrizione biblica, emerge come la donna veda effettivamente apparire lo spirito di Samuele, il quale pronuncia una profezia funesta per Saul: il regno gli sarà strappato via di mano e consegnato al suo rivale Davide. La disfatta in battaglia e la morte di Saul e dei suoi figli sanciranno l’avverarsi della predizione. Ma a ben vedere le cose possono leggersi anche da una differente, e più plausibile, chiave di lettura.
La controversa interpretazione di Webster: la ventriloqua e la bottiglia
Un punto di acceso dibattito tra gli studiosi riguarda le modalità con cui la maga di Endor evoca lo spirito di Samuele. Il termine ebraico “owb”, tradotto in italiano come “spirito”, può assumere anche il significato di “bottiglia”. Lo studioso John Webster, basandosi su questa ambiguità, ha proposto una lettura alternativa dell’episodio (Webster, J. (1677). The Displaying of Supposed Witchcraft. J.M., London).
Secondo Webster, la donna non avrebbe evocato alcuno spirito, ma avrebbe ingannato Saul simulando la voce di Samuele attraverso una tecnica ventriloqua, utilizzando una bottiglia come amplificatore per la sua voce. Un complice, travestito da Samuele, avrebbe contribuito a rendere la scena più realistica. Ma l’entrata in scena di costui potrebbe essere anche solo eventuale. Di certo, dei due testimoni che il re d’Israele aveva portato con sé non se ne trova traccia, ricompariranno solo al “banchetto” preparato dalla maga a fine episodio.
Oltre la magia: la demitizzazione della negromanzia
L’interpretazione di Webster, seppur controversa, offre una chiave di lettura interessante. Essa ridimensiona il ruolo della negromanzia come pratica magica, relegandola a un mero inganno orchestrato da abili imbroglioni. Una truffa, un raggiro che voleva raggiungere lo scopo di detronizzare un re ormai insicuro e privo dello spirito divino. Una semplice scelta traduttiva, dunque, può sovvertire completamente il significato di un evento storico, aprendo nuovi spunti di riflessione sul rapporto tra verità e apparenza, fede e ragione.
Un altro orizzonte: un inganno che svela la verità
Saul, re d’Israele, è alle strette. L’esercito dei Filistei incombe, il profeta Samuele era morto e il Signore lo aveva abbandonato non rispondendo alle sue preghiere né attraverso i profeti né attraverso i sogni. Disperato, Saul piuttosto che ravvedersi e capire quali fossero gli errori commessi per cercare di porvi rimedio, decide di rivolgersi ad una pitonessa, una incantatrice, insomma una donna che dice di evocare gli spiriti dei morti, contravvenendo alle sue stesse leggi che punivano con la morte tali pratiche.
Un incontro clandestino con testimoni
Saul si traveste e si reca di notte dalla donna, accompagnato da due testimoni. La scena dell’evocazione è avvolta nel manto oscuro della notte, in quel confine sfumato tra il permesso e l’illegalità. È come se il buio stesso offrisse un velo di segretezza, consentendo azioni al limite della moralità. Contrariamente al giorno, quando le persone agiscono alla luce del sole, trasparenti come cristallo, senza nulla da nascondere.
La scelta del travestimento è interessante: Saul teme di essere riconosciuto, forse per la vergogna di ricorrere a una pratica illegale e considerata empia. La presenza dei testimoni, invece, potrebbe essere vista come un tentativo di sorreggere tesi un po’ azzardate all’esito dell’esperienza soprannaturale a cui stavano andando incontro. Tuttavia, quando lo spirito di Samuele viene evocato, dei testimoni non si fa più menzione, per incontrarli poi alla fine del racconto in occasione del banchetto.
L’inganno si rivela
Quando la negromante inizia il rituale per evocare lo spirito di Samuele, si rende conto di essere stata ingannata e rivela l’identità di Saul, che a sua volta cerca di rassicurarla sulla sua incolumità. Ma perché la maga si sente ingannata? È probabile che tutti sapessero già che Saul fosse stato abbandonato da Dio e dal profeta Samuele. Quella richiesta poteva venire solo da Saul, nel momento di disperazione, alla ricerca di consiglio di fronte all’imminente conflitto con i Filistei. Questa guerra non era solo una battaglia di spade e scudi, ma un confronto epico. La guerra poteva infatti consistere in un acceso confronto, un dibattito che avrebbe deciso chi sarebbe stato all’altezza di governare, chi sarebbe stato posto nuovo Re, e giudice, di quei popoli. Di certo non sarebbe stato Saul che si era di fatto già autoescluso, aveva perso ogni forma di autorità, ed era ormai diventato un perdente senza popolo né territorio su cui governare.
Quando finalmente venne evocato Samuele, si racconta di un anziano avvolto in un mantello. Un complice della maga poteva aver personificato il potente profeta, mentre lei stessa, esperta ventriloqua, modificava la sua voce con una bottiglia per rendere più verosimile l’esperienza ultraterrena.
L’uso del mantello era la ciliegina sulla torta per conferire al personaggio uno spirito profetico. Indossarlo significava assumere un’autorità e un’investitura divina. Questo richiamo è evidente nei racconti dei profeti Elia ed Eliseo. (1Re 19; 2 Re 2).
Saul cede all’illusione
Saul, completamente vulnerabile, cede all’illusione della strega e del suo compare. Si prostra davanti al sedicente spirito di Samuele, credendo di ricevere un consiglio divino. Le agognate parole, però, non sono una profezia del futuro, ma la semplice constatazione delle conseguenze delle azioni passate di Saul. Il re aveva troppe volte disobbedito alla parola divina e troppe volte aveva preferito la propria volontà, perdendo il favore divino e di conseguenza la sua capacità di regnare. Questo triste declino era evidente anche al popolo, specialmente quando venivano messi a confronto Saul e Davide, sul quale si era ormai posato lo spirito divino. Il popolo dimostrava di aver già scelto quest’ultimo, mostrando verso lui il proprio favore (1 Sam. 18:7-8). Saul iniziava dunque ad ingelosirsi sempre di più del “successo” di Davide ed in ogni modo cercava di toglierlo di mezzo.
La sconfitta, la morte e la vendetta
Ormai la sua vista era offuscata e la sua capacità di regnare era compromessa definitivamente, pertanto Saul sapeva bene che non avrebbe retto lo scontro contro i filistei, tant’è che viene testimoniato che il suo cuore tremò fortemente alla vista del campo nemico.
La sconfitta era un dato certo, era ormai solo questione di tempo e circostanze, così come poi in effetti accadde. Il racconto si conclude con la morte di Saul e dei suoi figli, condizione logica per un uomo ormai destituito del potere che un tempo gli era stato assegnato. Vinto dalle circostanze e senza più alcuna speranza di riuscita nel governare un regno. Una morte che poi avverrà in circostanze discutibili, quasi non fosse quello il destino del re, perché Saul va incontro alla morte, nonostante i suoi arcieri lo difendano mettendo in difficoltà il suo nemico, Saul vuole morire, cerca la morte finché non la trova (1 Sam. 31:4), e ancora, nonostante il suo scudiero non acconsentì ad uccidere il suo signore nonostante la sua richiesta. Ci penserà un Amalekita che casualmente si trovava di passaggio proprio in quel momento della battaglia (2 Sam. 1:10). Fatto decisamente inusuale ma al contempo strategico visto che pare la consumazione di una vera e propria vendetta per ciò che Saul aveva fatto al popolo degli Amalekiti. Contesto dove Saul aveva contravvenuto comunque un ordine di Dio che si penti di averlo unto re d’Israele (1 Sam. 15:3-). Sarebbe plausibile pensare che nella battaglia contro i filistei non fosse ancora arrivata l’ora del re Saul, ma ormai era troppo tardi, forse suggestionato dalle parole della maga di Endor era andato incontro ad un destino che si era autogenerato.
La negromante aveva solo fatto credere una serie di cose che il re già conosceva. Era stata abile a confezionare l’unica verità che Saul avrebbe accettato, ha dato alla sua vittima solo ciò che voleva sentire. Come tutti i mistificatori aveva risposto alle domande di Saul con ciò che già era di dominio pubblico, tutti sapevano che il re avrebbe perso il trono e al suo posto sarebbe stato costituito Davide come nuovo re.
Un banchetto propiziatorio
Alla conclusione della storia la maga prepara da mangiare per Saul, ormai senza forze, un vitello e con la farina prepara dei pani azzimi.
Il vitello ingrassato é solito sacrificarlo in vista di un festeggiamento per un futuro evento positivo (si veda in merito Luca 15).
E così anche per la preparazione dei pani azzimi che per il popolo ebraico ha un significato preciso.
Gli ebrei mangiano i pani azzimi durante la settimana della Pasqua ebraica che si celebra in ricordo dell’uscita del popolo israelita dall’Egitto. Questa tradizione voleva commemorare l’antica festa delle primizie, quando si faceva il nuovo lievito con il nuovo raccolto e si eliminava il vecchio fatto con farine dell’anno precedente. “Mangerai con essa pane azzimo, pane di afflizione, affinché ti ricordi del giorno che uscisti dal paese d’Egitto tutti i giorni della tua vita” (Deuteronomio 16:3).
La maga di Endor aveva propiziato l’uscita di scena del re Saul, preparando questo “rito” per celebrare il passaggio da una gestione ormai destituita ad un nuovo regno vincente con un re con il cuore secondo Dio, il passaggio da un vecchio re con il suo modo di regnare ad un nuovo re, il re Davide.
La strega offre a Saul un vitello ingrassato e pani azzimi. Il vitello ingrassato era simbolo di festa e celebrazione, mentre i pani azzimi ricordavano la fuga dall’Egitto e la liberazione dalla schiavitù. Questi simboli prefigurano la caduta di Saul e l’avvento di un nuovo regno, guidato da Davide, un re che si dimostrerà giusto e vittorioso.